domenica 6 giugno 2004
Se ogni giorno cade dentro ogni notte,/ c'è un pozzo dove la chiarità è rinchiusa./ Bisogna sedersi sulla riva del pozzo dell'ombra/ a pescare luce caduta,/ con pazienza. La poesia dev'essere centellinata, letta parola per parola con aloni di silenzio, simili agli spazi bianchi dei suoi "a capo". Qui a parlarci è Pablo Neruda (1904-1973), famoso poeta cileno, in una delle liriche della raccolta Il mare e le campane
(ed. Passigli). La linea di confine del crepuscolo è vista come un pozzo oscuro in cui si getta la "chiarità" del giorno e apparentemente vi si affoga. L'invito che egli rivolge è quello di collocarci sull'orlo di quel pozzo e, come fa il pescatore lungo la riva del mare, sostare a lungo e con pazienza a raccogliere almeno un filo della luce sprofondata. Potremmo assumere questa parabola come un'immagine della ricerca umana. Siamo di fronte a tanti misteri, personali e universali. A prima vista paiono buchi neri, grovigli tenebrosi, assenze di significati. In realtà essi hanno inghiottito e contengono luce nascosta, come accade all'acqua in un pozzo profondo o alla notte che ha assorbito il giorno e lo sfolgorare del sole. Bisogna sapervi "pescare", ossia scandagliare il mistero con grande costanza, stando quieti e in silenzio, riflettendo e meditando, e alla fine dalla lenza della nostra anima estrarremo un filo di luce che illuminerà la mente e la vita.
Questo è possibile anche quando si è di fronte al mistero del Dio trinitario.
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