venerdì 12 novembre 2004
 Ciò che contraddistingue le menti veramente originali non è l"essere i primi a vedere qualcosa di nuovo, ma il vedere come nuovo ciò che è vecchio, conosciuto da sempre, visto e trascurato da tutti.    L"osservazione del filosofo tedesco Friedrich W. Nietzsche (1844-1900), che per altro non fu sempre coerente con la convinzione espressa in queste sue righe, merita attenzione soprattutto ai nostri giorni spesso definiti come "smemorati". In tutti gli ambiti  della vita civile, sociale, politica, culturale e persino religiosa si è inclini a rincorrere la novità. Certo, la vita stessa è un progredire, la ricerca è scoprire sempre nuovi orizzonti, l"esperienza è esplorazione di nuovi territori del conoscere e del fare. C"è, però, un rischio ed è quello di tagliare le radici o di staccarsi dal tronco secolare della storia.Liberi da questi legami, a prima vista sembra più agile il nostro movimento, più vivace la crescita, più intensa la capacità di produrre. Ben presto, però, ci si accorge di essere diventati simili a un albero dal fogliame appariscente e abbondante ma dai frutti bacati e striminziti proprio perché manca l"alimento autentico. Ecco, allora, la necessità di rivolgere lo sguardo e di protenderci verso il passato con le sue straordinarie ricchezze di cultura, di esperienza, di spiritualità. Vecchio e nuovo sono, certo, in contrappunto, ma non necessariamente in contrasto. Anzi, debbono convivere ed essere in continuità, nella consapevolezza - come dice Bernardo di Chartres (XII sec.) - che noi vediamo più in là perché siamo nani sulle spalle di giganti.
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