martedì 2 agosto 2005
Tisia, finito il suo apprendistato presso Corax, non voleva pagare le lezioni al maestro. Finirono, così, davanti ai giudici. Tisia disse: «Corax doveva insegnarmi l'arte di persuadere. O mi ha veramente insegnato quest'arte e, allora, deve ammettere che sono in grado di persuaderlo a non ricevere l'onorario; oppure non me l'ha insegnata, e allora io non gli devo niente». Corax replicò: «Se tu riesci a persuadermi che non ho il diritto all'onorario, tu me lo devi perché ho compiuto la mia missione. Se tu non riesci, tu me lo devi a maggior ragione». Lasciamo stare il sofismo che sta sotto a questa diatriba del mondo greco antico e puntiamo alla conclusione dei giudici che, giocando sul nome del maestro Corax (in greco "nido"), sentenziarono: «A un cattivo nido una cattiva covata». Quando si è maestri di inganno, si può ricevere in risultato la stessa moneta. È, questo, l'esito di una società che è debole nei valori morali e si regge soprattutto sull'astuzia, sull'imbroglio, sul tranello, sulla turlupinatura dell'altro. Bisogna, infatti, ricordare che anche la vittima elabora anticorpi e si attrezza a ripagare chi l'ha raggirata con un'analoga trappola. E così si inquinano i rapporti interpersonali, si immiserisce lo stile di vita, si imbarbarisce la politica. Purtroppo, però, la catena non si spezza mai perché l'inganno è una scorciatoia che trova sempre terreno aperto. Nel Principe il solito diffidente Machiavelli osservava: «Sono tanto semplici gli uomini che colui che inganna troverà sempre chi ingannare».
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