domenica 10 febbraio 2019
«Ho l'impressione che la nuova generazione stia perdendo la nozione di che cosa significhi narrare. Raccontare una storia non è più l'obbiettivo principale o lo stimolo più importante. Io credo invece che il dovere di un regista sia soprattutto di avere qualcosa da dire: avere il desiderio di raccontare una storia».
Parole profetiche, pronunciate vent'anni fa in un libro intervista da Wim Wenders, uno dei maestri del cinema. Con il suo capolavoro tra i capolavori Il cielo sopra Berlino, il cinema, l'arte del Novecento, raggiunge uno dei suoi vertici.
Wenders in quell'intervista riassume come si sia scoperto, da regista indifferente alla narrazione e attratto solo dal movimento e dalla fotografia, l'opposto: un narratore. E vede e critica nelle nuove generazioni cinematografiche la sfiducia nel narrare. L'affermazione vale per il cinema, e quindi per la vita. Ogni visione, accadimento, intuizione, cerca una connessione con il tutto. Cercare una storia significa cercare un senso. Credere in un senso. Fare senso. Per questo l'uomo ascolta, sin dalle origini. Ascolta il poeta che canta, modulandole, storie. Legge i resoconti di avvenimenti storici, che divengono storie. Interpreta la realtà quotidiana tramutandola in successione di storie. La realtà è resa credibile solo dal suo racconto.
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