mercoledì 13 maggio 2020
Una mattina, molto presto. Il Parco Sempione, nel cuore di Milano, dietro al Castello, ha finalmente riaperto. Scendo a piedi fino all'Arco della Pace, gustando ogni passo. Come tornassi in un mio privato giardino, che mi è stato sbarrato. Sopra l'Arco, possenti, gli irrequieti cavalli scuri. Davanti a me le cancellate verdi sono spalancate. A quest'ora non c'è quasi nessuno. Il principio di maggio, anche a Milano, è abbagliante. La nettezza del cielo, il verde chiaro delle giovani foglie, l'ombra nera sotto ai tronchi secolari: e tagliente, in contrasto, la luce chiara delle sette, come una sorgente. Cantano uccelli di cui non conosco il nome, nell'acqua dei laghetti sguazzano giovani anatre. Navigano nell'aria pollini gonfi e leggeri. Ci sono ancora i draghi verdi, le fontanelle di ghisa a cui ci si rinfrescava, accaldati, da bambini. Bevo: l'acqua è fresca come allora. So questi viali a memoria, palmo a palmo. So come si aprono davanti al Castello in uno slargo regale, e come ai mattoni rossi delle mura si avvinghiano le edere, tenaci. Ricordo che nel fossato vive una colonia di gatti, sfamata da gentili gattare. Ci portavo i figli, da bambini, a vedere i gatti del Castello. Gatti gloriosi dalle orecchie mozze di morsi, gatti condottieri. Dall'erba del fossato barlumi di occhi verdi ti fissavano, inquieti. Sapevo, che avrei ritrovato il Parco uguale. L'unica cosa nuova è questa mascherina azzurra sulla bocca, e la gente nei viali, quella poca che c'è, solitaria. O forse qualcosa di cambiato c'è? Il mio sguardo. Riscopro questo pezzo della mia città vedendolo come attraverso un vetro non più appannato: lavato dall'acqua battente di un violento temporale, e lindo. Due mesi di esilio mi sono bastati. Il Parco di questo maggio, è più bello. Come tutto ciò che si ritrova, quando lo si sentiva perduto.
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