venerdì 7 dicembre 2007
Essere nati senza invidia è indizio di essere nati con grandi qualità.
L'invidia è la consapevolezza della propria mediocrità.
Ritorniamo ogni tanto all'interno di quel pianeta oscuro nel quale tutti non di rado sconfiniamo: intendo riferirmi al mondo dei vizi. Oggi ne prendiamo di mira uno tra i più laceranti anche per chi ne è vittima, l'invidia, e lo facciamo con due battute che hanno genesi diverse, anche se entrambe provengono da pensatori. La prima è di un autore moralista del Seicento francese che spesso ci ha offerto spunti di riflessione, François de la Rochefoucauld. In questa, che è una delle sue Massime, egli ci invita a cercare un esempio da imitare: se vuoi essere sicuro di assegnare una meritata ammirazione, cerca una persona che non conosca l'invidia. È vero: chi non ha questo vizio si rivela veramente una persona alta, nobile e generosa.
Detto questo, la nostra attenzione punta, però, sulla normale esperienza e qui è significativo l'altro monito che ci ha lasciato il filosofo triestino Mario Hrvat (1910-1948). Basta poco perché il mediocre riveli la sua natura: anche di fronte a un modesto successo dell'altro, subito si scatena in lui la recriminazione e la gelosia. Ebbene, senza che egli lo affermi esternamente, quella reazione nasce nel suo animo perché sa di essere limitato, di non avere le capacità altrui; ma, anziché rimanere quietamente nel suo stato, riconoscendo con umiltà le sue reali forze, si abbandona alla detestazione e allo scontento. Ironicamente il grande Goethe notava che «la consolazione più alta del mediocre è di pensare che anche il genio dovrà morire». Cerchiamo, allora, di riconoscere pure la nostra mediocrità quando invidiamo, ma trasformiamo questa scoperta della nostra povertà rendendola fonte di umiltà.
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