giovedì 28 aprile 2011
La giovinezza non è un periodo della vita, ma uno stato d'animo, un effetto della volontà, una qualità dell'immaginazione, un'intensità emotiva, una vittoria del coraggio sull'amore della comodità. Non si diventa vecchi per aver vissuto un certo numero di anni, ma perché si è abbandonato il proprio ideale. Gli anni tracciano solchi sul corpo e raggrinziscono la pelle, la rinuncia all'ideale li traccia nell'anima.

In tante case c'è, relegato in qualche angolo, l'album o la scatola contenente le fotografie. Scorrere quelle più ingiallite crea una sensazione di malinconia: visi perfetti, freschi, sorridenti del passato hanno lasciato il passo all'impietosa verità dello specchio in cui questi stessi volti si riflettono oggi. Il fluire del tempo scava rughe, produce smagliature, stinge le tonalità, spegne la freschezza e il vigore. Se il giovane o la ragazza che ora sa di essere attraente immaginasse il suo profilo fra alcune decine d'anni, rimarrebbe sconcertato.
Eppure una via per esorcizzare questo incubo c'è ed è suggerita nel testo sopra citato che è un frammento di un brano più ampio di solito assegnato a un discorso del generale Douglas A. McArthur (1880-1964), figura di spicco nella Seconda Guerra Mondiale. In realtà egli rimandava a uno scritto di un ebreo tedesco emigrato negli Usa, Samuel Ullman (1840-1940). Bisogna conservare lungo il percorso del fiume del tempo la freschezza interiore della ricerca, della passione, dell'amore, della bellezza, dell'attesa. È proprio qui il dramma di tanti giovani di oggi che hanno un viso perfetto, un corpo agile ma un'anima rattrappita, già vecchia e cadente. E sta proprio in questo la vitalità e la gioia di vivere di non pochi anziani che, non per ridicoli atteggiamenti giovanilistici esteriori, ma per carica interiore colmano i loro giorni di interessi e di attese. Il vero lifting non è quello della carne e della pelle, ma dello spirito.
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