giovedì 10 settembre 2015
Josefa de Obidos, pittrice portoghese che dominò più dei suoi colleghi il panorama della pittura barocca del XVII secolo, affonda lo sguardo dentro la casa di Nazaret, cogliendo la sacra Famiglia in un momento d’intimità. La Madonna sta allattando il figlio e uno zampillo di latte sgorga come sorgente dal seno andando a raggiungere la bocca dell’infante.
Il latte della Vergine, secondo i racconti apocrifi, cadendo imbiancò una roccia, rendendola lattiginosa e taumaturga fino ai nostri giorni: la grotta del Latte di Betlemme. La Madonna è la sorgente di vita che nutre il Verbo Incarnato e lo fortifica per la futura missione. È risaputo che i bimbi nutriti dal seno della madre crescono più equilibrati, più certi della loro origine, della loro identità e del loro destino buono, soprattutto se la Madre, con il latte, dispensa quella carica di positività che accompagna ogni maternità. Il Divino Infante sembra giunto allo svezzamento, infatti abbandona le ginocchia materne per volgersi a San Giuseppe, il quale si avvicina porgendo al Figlio una croce. Se la Madre col latte materno nutre il figlio della certezza d’essere amato, il padre, mediante la paternità vissuta dall’esterno, educa il figlio alla sua missione nel mondo. Secondo la Obidos fu proprio san Giuseppe a svelare al Figlio, così precocemente, il suo destino di Messia: salvare il mondo attraverso la croce. Nessuno nella tela ci guarda, l’artista annota la dolorosa constatazione che ogni generazione, in ogni tempo, rifugge la croce. Cambiano modi e condizioni, cambiano le sfide, cambia la posta in gioco, ma rimane nel cuore dell’uomo lo scandalo di fronte alla croce. Nella tela Giuseppe e Maria guardano lontano, verso un futuro fattosi improvvisamente presente grazie a quel terribile supplizio. Gli angeli, che riempiono il cielo della stanza, guardano in alto: quasi implorando il Padre di mitigare al Cristo quel destino. Solo Gesù guarda la croce, la cerca, allontanandosi consapevolmente dalla dolcezza del latte materno. Tutto ciò pare la profezia di questo nostro mondo che, dentro e fuori la Chiesa, fugge all’impazzata dalla croce come mezzo redentivo. Nemmeno la nostra generazione che chiude spesso gli occhi di fronte ai martiri cristiani, che cerca godimenti e affetti alternativi scardinando i sani principi delle diversità complementari, che vuole decidere da sé la morte e la vita per soffrire di meno, nemmeno lei potrà fare a meno della croce. La croce salva il mondo, lo redime e, come nel dipinto di Josefa, è lei che resta di scena, al centro, quale impalcatura che impedisce il crollo autodistruttivo dell’umanità. Un’opera di Sebastian Martinez coniuga, invece, l’elemento domestico della sedia, sopra la quale siede la Vergine come su un trono, con gli angeli e le nubi, come se nella quotidianità di Maria si sollevasse il velo del Mistero. Gesù sta ritto sopra un cuscino rosso fuoco, simbolo della dolcezza premurosa della custodia materna. Sono gli angeli qui, a svelare la missione di Salvatore al Cristo Bambino, avanzando verso la Madre e il Bambino recano, infatti, una croce con i chiodi già bell’e piantati. Se Gesù Bambino, con un umanissimo moto di ritrosia si allontana dalla croce, la Madonna con eroica fortezza, gli indica il mondo. Sì, la Madre, quasi ex cattedra, insegna al Salvatore la sua missione. Un insegnamento che Maria non cessa di impartire ancora oggi a ciascuno dei suoi figli: anche per noi entrare nella gloria del Salvatore significa prendere su di noi la nostra croce e contribuire al completamento della passione di Cristo mediante il nostro picco martirio quotidiano.
Immagini: Sebastian Martinez  Madonna col Bambino seduta sopra una sedia tra le nubi, olio su tela cm 99 x 75. Museo HermitageJosefa de Obidos, Sacra Famiglia, olio su tela; cm 103 x 158. Convento de Santa Cruz do Buçaco, Mealhada.
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