sabato 25 novembre 2006
Intelligenza non è commettere errori, ma è scoprire subito il modo per trarne profitto. Anche quelli che non sanno il latino ripetono che errare humanum est e spesso proseguono dicendo che perseverare diabolicum est. Si tratta di un motto scolastico modulato su una frase desunta dai sermoni di s. Agostino: «Errare fu umano, ma è diabolico perseverare per ostinazione nell'errore». Qualcosa del genere lo afferma anche uno scrittore certamente lontano mille miglia dalla fede di Agostino, il drammaturgo Bertolt Brecht (1898-1956), nel detto sopra citato, che mi ha fatto conoscere un lettore. Due sono le riflessioni che possono fiorire da quelle parole. La prima non è sempre accettata di buon animo. Tutti ci crediamo intelligenti e quindi facciamo fatica a riconoscere di aver preso abbagli, di essere incappati in cantonate solenni, di aver commesso spropositi. Spesso chi è più intelligente fa errori ancor più clamorosi. Ecco, allora, la prima lezione: l'intelligenza non ci salva dagli sbagli e quindi bisogna sempre alimentare la nostra riserva " di solito molto piccola " di umiltà. Lo scrittore americano Saul Bellow ironizzava sugli «stupidi con un alto quoziente di intelligenza». Ma passiamo alla seconda osservazione. La vera intelligenza si rivela nel saper trarre frutto dall'errore commesso, non solo a livello di vantaggio pratico, ma soprattutto nell'interiorità dell'auto-educazione e correzione. Lo stolto, infatti, si misura proprio nel grado di ostinazione che rivela, difendendo il suo sbaglio, giustificandolo fino all'estremo del ridicolo. Mancare, ingannarsi, persino peccare possono diventare, invece, nell'uomo intelligente sorgente di bene.
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