sabato 1 dicembre 2018
Ricevo un'email da un amico, ora novantenne, di mio padre. Io non l'ho conosciuto, ma ne avevo sentito parlare, in casa. «Pecos», era soprannominato: mia madre si arrabbiava, perché con lui papà faceva sempre tardi la sera.
Un suo amico, uno che si ricorda di lui. Corro a trovarlo, anche se vive lontano. «Pecos», giornalista come mio padre, abita in Toscana. Un caffè, e lo ascolto raccontare. Del processo d'appello, a Bologna, a Rina Fort, la «belva di via San Gregorio», che nel '46 sterminò la famiglia dell'amante. Immagino «Pecos» e mio padre chini sui taccuini, nei banchi della stampa. La sera in trattoria a contarsela su, fino a tardi. Un mondo intenso e sapido mi si disegna davanti: polverose bottiglie di quello buono, scelte dall'oste in cantina. Sento lo schiocco del tappo.
Poi «Pecos» mi mostra un antico, danneggiato filmino del suo matrimonio. 1955, luce di maggio. Buio, macchie, buio. Una chiesa. Mio padre è testimone. Il celebrante ha il viso scavato e una faccia buona. È don Carlo Gnocchi. Lui e mio padre si conoscevano, dai giorni della Ritirata di Russia.
Chissà che si dissero in quella mattina di maggio, e di pace. Mio padre guarda verso l'altare, assorto. Il film che vorrei vedere è ciò che gli girava nel cuore quel giorno davanti a don Gnocchi, futuro Beato, compagno sul Don.
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