sabato 26 marzo 2022
Il teatro di Mariupol è stato colpito da una bomba il 16 marzo. Il tetto e parte della struttura erano crollate, ma, dissero dalla città, i sotterranei avevano tenuto, ed erano dentro in centinaia. Quel giorno si combatteva furiosamente, tanto che non era possibile operare i soccorsi, sotto le bombe. Le notizie si contraddicevano: "Sono usciti in 130, vivi", si sentì dire, o invece che gli ingressi erano bloccati dalle macerie. Si pensava ci fosse altra gente, là sotto, e che per un paio di giorni avrebbero avuto acqua e aria a sufficienza. Poi, più niente: Mariupol continuava a essere massacrata, e gli ultimi giornalisti e fotografi erano stati costretti ad andarsene. Non un messaggino dal teatro: se pure c'erano dei vivi, non c'era più corrente, né campo.
Oggi leggo che nei rifugi sotterranei ci potrebbe essere ancora gente. Morta, immagino, dopo dieci giorni. Morta sepolta viva in quel buio che solo le ultime candele hanno continuato per qualche ora a rischiarare.
E la fame e la sete mi sembrano niente al pensiero di madri, là sotto, con i bambini, di malati, di vecchi. Tra una bomba e l'altra, silenzio: nessuna voce di soccorritori. Non conta se fossero in 300 o in 30. Al teatro sono morti come topi: non una tregua è stata concessa dai generali russi, per permettere gli aiuti. Un cuore ipogeo, buio di strazio, nelle viscere di una città chiamata Maria.
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