domenica 16 ottobre 2005
I falsi profeti? Sono quelli che scrivono ottime prediche. Prima di parlare, bisogna accertarsi che il cervello sia collegato. Ecco due citazioni molto diverse tra loro sia per genesi sia per finalità. In comune hanno una realtà fondamentale, la parola. Partiamo, allora, dalla prima considerazione piuttosto provocatoria che lessi in un'intervista di anni fa rilasciata da Franco Fortini (1917-1994), un poeta e critico fiorentino che viveva a Milano e che ebbi occasione di incontrare qualche volta. Egli era agnostico ma con un forte interesse per i temi religiosi (era un appassionato lettore di Simone Weil). La sua definizione dei falsi profeti è forse un po' impietosa e non vuole certo condannare le "ottime prediche" che i fedeli chiedono con insistenza o sperano di ascoltare, entrando anche questa domenica in chiesa. C'è, però, un'indubbia verità che già Cristo aveva ripetutamente proclamato: non bastano le parole raffinate, le argomentazioni ineccepibili; c'è un'anima che le deve pervadere e un calore d'amore che l'ascoltatore percepisce sotto il velo del linguaggio, e c'è una testimonianza operosa da offrire. Per questo s. Paolo affermava che «la sua parola e il suo messaggio non si basavano su discorsi persuasivi di sapienza ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza» (1 Corinzi 2, 4). Detto questo, viene a proposito la seconda battuta che ho sentito una volta in un dialogo trasandato ma efficace tra giovani in metropolitana. Ad essere sinceri, forse questa dote non era da loro praticata, ma il principio è valido sia per le prediche sia per qualsiasi comunicazione tra persone. Troppo spesso le parole erompono a cascata, senza ragione e senza filtro, lasciando scorrere un magma sporco e insensato.
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