domenica 30 aprile 2006
Ogni mattina il mio devoto cane presso la sedia silenzioso aspetta, finché io lo saluto con una carezza. Mentre questo leggero omaggio riceve, di gioia il suo corpo trasale. Fra tutte le creature mute, lui solo ha visto l"uomo per intero" Non so immaginare quale raro valore la sua saggezza pura trova nell"uomo. Col suo silenzioso guardare, patetico, smarrito, non può esprimere in parole quello che afferra. Per me, però, rivela il vero significato dell"Uomo nel disegno del Creato.Anche se il mio animale preferito rimane il gatto col suo misterioso e distaccato atteggiamento, resto anch"io ammirato di fronte all"impressionante affetto che il cane sa riversare sul suo padrone, con una costanza e un entusiasmo che gli uomini tra loro spesso non sanno testimoniare. A raffigurarlo in questo comportamento è il poeta indiano più caro all"Occidente, Tagore: da un"antologia di sue poesie e prose raccolta da Brunilde Neroni e intitolata La poesia della natura (Guanda 2005) traggo questa bella scenetta familiare del poeta di Calcutta.La conclusione del testo è, però, di indole "teologica": Tagore vede nella devota attenzione del cane ai gesti dell"uomo il segno di un progetto divino. È quello che la Bibbia definisce con un"espressione, spesso equivocata, come il «dominare dell"uomo sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente» (Genesi 1, 28). Certo, è l"affermazione di un primato, di un disegno nel quale la creatura umana deve espletare una funzione alta e delegata di custodia, di trasformazione, di coltivazione della natura. Ma guai a deformare questa missione in tirannia, in prevaricazione, in dispotismo cieco e crudele. E tante volte lo sguardo umido e dolce di un cane è proprio un interrogativo rivolto al suo padrone ottuso ed egoista che lo abbandona per strada o lo umilia e tormenta, prevaricando anche su tutte le creature di Dio.
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