venerdì 18 dicembre 2020
Disponiamoci ad abbracciare, nella preghiera, quella solitudine che in fin dei conti sperimentiamo nel Natale e che esploriamo così poco. Noi avvertiamo una decelerazione interiore che, per quanto inconfortevole possa apparire, costituisce un'opportunità offertaci per rientrare dentro il nostro stesso cuore. E il cuore, anche nel suo pulsare caracollante, anche nel suo doloroso svuotamento, è, scrive il poeta Rainer Maria Rilke, «un'isola di Dio, una filiale del cielo». La solitudine caratteristica del Natale costituisce, se le apriamo il cuore, un'irrevocabile chiamata al raccoglimento. È bello sentire come tutto attorno a noi e noi stessi di colpo ci acquietiamo. E che le ore diventano socchiuse e misteriose in una maniera per noi inabituale, perché l'infinito vuole sorprenderci così. È bello sentire che il vuoto si sovrappone a tutti i pacchetti che ci scambiamo, o che il silenzio interiore, che parla più forte del vociare che ci attornia, possiede, senza che riusciamo a capire come, la forma di un dono. Questo vuoto, che resiste alla valanga di regali che riceviamo, è in realtà il vero dono: la possibilità non di desiderare questo o quello, ma di provare l'esplosione di un desiderio allo stato puro, in un grado tale che soltanto possiamo abbandonarlo nelle mani di Dio. Solo un Dio ci può salvare. Il resto, sono niente più che circostanze esterne, provvisorie e passeggere.
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