martedì 23 settembre 2003
Il primo segno di corruzione in una società ancora viva si ha quando il fine giustifica i mezzi. Si è soliti dire che il principio secondo il quale "il fine giustifica i mezzi" sia stato coniato da Machiavelli o, più arditamente, sia una scappatoia morale escogitata da alcuni teologi del passato. In realtà, non si sa chi abbia formulato quella locuzione, anche se essa appare in una foggia simile in un trattato di teologia morale del gesuita Hermann Busenbaum
(1600-1668): «Cum finis est licitus, etiam media sunt licita», ossia «se il fine è lecito, anche i mezzi per raggiungerlo lo sono». In realtà, com'è noto, questo principio è molto pericoloso e nella storia ha giustificato infamie di ogni genere e ha prodotto immani sofferenze, anche perché era spesso adottato da governanti che l'applicavano al destino di interi popoli. Contro quell'assioma punta l'indice lo scrittore francese cattolico Georges Bernanos (1888-1948) nel suo saggio La libertà perché? da cui abbiamo tratto la nostra citazione d'apertura. Egli giustamente ci ammonisce che quando in una società si assume quella norma, allora siamo certi che è iniziata la sua corruzione nel duplice senso, morale e anche storico. Sì, perché lentamente una simile comunità si sfalda, piomba nella dissoluzione, fatta di reazioni antitetiche, di conflitti, di egoismi aggressivi. Tutto questo, però, accade anche a livello personale perché chi s'inoltra su quella via scivolosa non solo il più delle volte non raggiunge il fine buono voluto (o usato come alibi), ma precipita in un'indegnità morale sistematica, accampando sempre scusanti. E' per questo che è necessario sorvegliare con rigore il proprio agire, eliminando paraventi, giustificazioni comode, attenuanti, pretesti.
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