domenica 6 maggio 2007
La Terra santa è segnata da due laghi. Il primo è quello di Genesaret (o Tiberiade) che riceve e dona acqua attraverso il Giordano. Il secondo, invece, riceve soltanto, accumula e nulla dà ed è per questo che si chiama mar Morto. Questa volta non offro una citazione circoscritta e precisa bensì il riassunto di una parabola che un ebreo israeliano mi ha raccontato tempo fa affermando che essa appartiene alla tradizione rabbinica. Devo riconoscere che l'idea ha una sua incisività, segnata anche dal fatto di essere per certi versi "visibile": da un lato, infatti, il Giordano dona le sue acque al lago di Tiberiade (tanto caro a Gesù) il quale le fa crescere per ridonarle, attraverso lo stesso fiume, alla terra arida di Palestina; d'altro lato, c'è invece il mar Morto che solo accumula acqua ricevendola e alla fine la perde facendola esalare senza che essa abbia portato frutto. L'apologo si trasforma, così, in una vera lezione sull'amore: Gesù l'aveva sintetizzata in quella legge - stravagante in economia (ma forse non troppo?) ed efficace nell'esistenza - del «perdere per trovare». Quanto più tu doni, tanto più ti trovi nella pienezza; anche dando la stessa vita, alla fine la possiedi in maniera autentica e vera.
Altrimenti si è, certamente, colmi di cose, come il bacino pieno di sali del mar Morto, ma si è appunto morti. Lo scrittore Leonardo Sciascia distingueva l'umanità tra coloro che dicono: «La ricchezza è bella, anche se morta» e quelli che sono certi prima di tutto che «essa è morta, anche se bella». E non è una differenza da poco: essa fa passare dall'idolatria delle cose alla gioia e alla libertà della donazione e dell'amore.
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