venerdì 26 luglio 2002
 Meravigliosa è la forza dei deserti d"Oriente fatti di pietre, di sabbia e di sole, dove anche l"uomo più gretto capisce la propria pochezza di fronte alla vastità del creato e agli abissi dell"eternità, ma ancor più potente è il deserto delle città fatto di moltitudini, di strepiti, di ruote, d"asfalto, di luci elettriche, e di orologi che vanno tutti insieme e pronunciano tutti nello stesso istante la medesima condanna.Due deserti antitetici, entrambi affascinanti e impressionanti, stanno dunque davanti a noi. Ce lo ricorda in questa bella descrizione Dino Buzzati (1906-1972) nel racconto L"umiltà. Il primo deserto è, se si vuole, quello biblico, ma è anche la metafora di uno stato esistenziale aperto a tutti. È il luogo della solitudine in cui scopri te stesso attraverso il silenzio delle cose e l"immensità degli spazi. Penetri nella tua coscienza, nella tua fragilità, nel tuo limite ma avverti anche la presenza dell"Infinito e del divino.L"altro deserto è quello urbano che incontriamo ogni giorno. Apparentemente siamo all"antipodo perché qui c"è frenesia, strepito, accumulo di cose e di presenze. Eppure ci si può anche qui trovare con se stessi, con la consapevolezza di essere ben poca cosa, un granello nell"ingranaggio della società, immersi in un tempo che è subito consumato. Qui il rischio è opposto: ci si può gettare nell"azione senza sosta e respiro, quasi a colmare il vuoto che si sente affiorare nel cuore. Il deserto, perciò, comunque esso sia " come ci ricorda la Bibbia " è sede di intimità ma anche luogo di tentazione, è pace ed è morte.
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