giovedì 6 febbraio 2003
Si perdonano facilmente agli amici i difetti che non ci riguardano. Se non avessimo difetti, non ci farebbe tanto piacere trovarne negli altri. Chi non ricorda l'immagine classica delle due bisacce, l'una pendente alle spalle coi nostri vizi e l'altra ben visibile davanti a noi coi difetti altrui, così da potervi frugare senza sosta, con sommo godimento? Vorremmo oggi riprendere quell'immagine secondo una diversa angolatura che mi è suggerita dalla coppia di spunti di riflessioni che desumiamo dalle Massime morali del francese La Rochefoucauld (1613-1680), ospite frequente della nostra rubrica. Partiamo dalla prima considerazione. Spesso siamo esigenti e fiscali nei confronti dei limiti altrui. Ma, se ben guardiamo a questa severità, ci accorgiamo che ciò che non sopportiamo sono soprattutto quei difetti che ci colpiscono personalmente; sugli altri difetti (in particolare su quelli che condividiamo con gli altri) siamo ben più generosi e tolleranti. L'altra considerazione è, invece, più radicale. In realtà, la scoperta dei vizi altrui nasce dal fatto che quegli stessi vizi li pratichiamo e li conosciamo bene anche noi, pur non confessandoli a noi stessi. Ma nella frase del celebre moralista francese c'è una nota particolare in quel "piacere" a cui egli rimanda. È questa una verità indiscussa: c'è una sottile e perversa forma di godimento nell'individuare, nel denunciare e nel propalare un difetto altrui. È proprio qui che si annidano la cattiveria e il gusto peccaminoso; è qui che si rivelano la piccineria d'animo e l'assenza di carità; ed è qui che scatta la condanna divina dell'ipocrisia farisaica.
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