sabato 18 novembre 2006
Di saggezze ce n'è più d'una, e tutte sono necessarie al mondo; non è male saperle alternare. Il nome della scrittrice Marguerite Yourcenar (che, tra l'altro, è uno pseudonimo) è legato per tutti all'indimenticabile romanzo pubblicato nel 1951 e intitolato Memorie di Adriano. In esso, come è noto, l'imperatore Adriano sessantaduenne, sentendo incombere la morte scrive una lunga lettera al giovane Marco Aurelio, rievocando l'intera sua esistenza e concludendo: «Cerchiamo di entrare nella morte ad occhi aperti"». Da quel romanzo ho voluto estrarre una considerazione riguardante una realtà poco citata ai nostri giorni: anzi, la stessa parola «saggezza» o «sapienza» è ormai obsoleta, perché si preferiscono i più immediati, utili e concreti «saperi». In realtà, la saggezza è il vero substrato dell'anima, è la pienezza della maturità della persona. Essa non si misura sull'erudizione né tanto meno sulle cariche conquistate, bensì è il "sapore" della vita e del conoscere, del pensare e dell'agire. La Yourcenar fa notare che essa è iridescente; la sapienza svela una molteplicità di colori. Il grande poeta Eliot, ad esempio, affermava che la saggezza più preziosa è quella dell'umiltà. Ma c'è la saggezza di giudizio, di ricerca della verità, di amore, di intuizione; c'è la sapienza della semplicità, della creatività, della libertà interiore, della generosità e così via. Essere saggio è, alla fine, la capacità di raccogliere, passo dopo passo, il meglio della bellezza, della bontà, della verità e unirlo come in uno splendido fascio di fiori.
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