giovedì 26 aprile 2007
Sì, tu sei mio fratello, e tutti voi siete miei fratelli, i miei amati fratelli. Ma che gusto schifoso ha qualche volta la fraternità. Alle Menschen werden Brüder: sento oggi per l'ennesima volta queste tra le altre parole dell'Inno alla gioia di Schiller cantate nella Nona sinfonia di Beethoven. E qui davanti a me ho un foglio di citazioni che mi ha inviato un lettore (piuttosto colto) di Reggio Calabria: le scorro e mi impressiona per contrasto la frase sopraccitata, desunta dal dramma I giusti (1950) di Albert Camus, uno scrittore francese che mi ha sempre affascinato attraverso le sue pagine spesso roventi. Anche in quest'opera dedicata al rapporto tra rivoluzione e morale c'è una domanda che attanaglia uno dei protagonisti: è lecito eliminare il tiranno con un gesto che coinvolge degli innocenti, come i suoi nipotini che sono con lui sulla carrozza imperiale? Ed è proprio nel travaglio di quell'attentatore, che alla fine non lancerà la bomba, ad affiorare l'esperienza ardua della fraternità. Sì, siamo tutti figli di Adamo, la nostra è una carne comune, abbiamo identiche esperienze esistenziali. Eppure ci sono diversità radicali tra un criminale e un santo, tra Hitler o Stalin e il dottor Schweitzer o madre Teresa di Calcutta. Vivere con gli altri nella società vuol dire essere consapevoli di quella identità ma anche di questa diversità. Si capisce, allora, perché l'amore cristiano sia tutt'altro che una passeggiata nel mondo dei sentimenti. Quando Cristo esige l'amore per il nemico sa bene che il fratello ha un «gusto schifoso» e che sta già affilando i chiodi per meglio crocifiggerlo. Eppure la forza dell'amore è proprio lì che si rivela, superando lo schifo e l'odio per l'altro.
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