martedì 28 giugno 2005
Sfuma il turchino/ in un azzurro tutto/ stelle. Io siedo/ alla finestra e guardo./ Guardo e ascolto;/ perché in questo/ è tutta la mia forza:/ guardare ed ascoltare.
S'intitola semplicemente Meditazione questa poesia del grande poeta triestino Umberto Saba (1883-1957), autore che mi è caro fin dalla prima giovinezza: nel 1961, all'esame di maturità liceale, scelsi di commentare, tra i temi proposti, proprio un testo del suo Canzoniere con un esito nel voto che mi fece forse peccare di orgoglio ma che suggellava anche una lettura appassionata che avevo praticato a lungo. A distanza di anni, m'imbatto ora in questi versi che trovo citati su una rivista e mi viene spontaneo proporli negli attuali giorni estivi che si spengono in un crepuscolo limpido rivelandoci nel cielo «un azzurro tutto stelle».Credo accada a tutti - certo, con una frequenza e una sensibilità differenti - di rimanere talora incantati a scoprire gli arabeschi di luce che le stelle disegnano nel firmamento notturno. Ma Saba da quell'esperienza spontanea e tenera estrae due sensazioni capitali della vita e le esprime attraverso una coppia verbale, «guardare ed ascoltare». L'occhio e l'orecchio sono fondamentali nella conoscenza ma anche nell'esistenza. Attraverso essi noi scopriamo la bellezza della realtà, ma riusciamo anche a intuirne il mistero, tant'è vero - come dice Qohelet - che «l'occhio non è mai sazio di guardare né l'orecchio è sazio di udire» (1, 8). La stessa fede si regge sull'ascolto della parola divina e sulla contemplazione del volto di Dio. E nella notte buia e silenziosa è paradossalmente più facile «guardare ed ascoltare» l'epifania della luce e della parola divina. Ma siamo ancora capaci di farlo?
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