venerdì 3 ottobre 2003
C'è più da fare a interpretare le interpretazioni che a interpretare le cose;
e ci sono più libri sui libri che su altri argomenti; non facciamo che commentarci a vicenda. Tutto pullula di commenti; di autori, invece, c'è gran penuria. Ho provato a fare un calcolo approssimativo: di media ricevo sette-otto libri al giorno, un fiume cartaceo nel quale mi immergo ora con curiosità e piacere, ora per abitudine, talvolta con sgomento. Sì, perché questo immenso e inesausto parlare non di rado sembra più oscurare che rivelare la verità. Mi viene in mente, allora, la frase - per altro molto nota - di quell'originale pensatore che è stato il francese Montaigne (1533-1592), autore di quei celebri Saggi, dai quali ho appunto attinto la citazione. Già il sapiente biblico Qohelet osservava realisticamente che «si fanno libri e libri senza fine e il molto studio debilita il corpo» (12, 12). In verità, la lettura debilita anche la mente e l'anima, quando si moltiplicano parole, interpretazioni, commenti, quando si rasenta il vaniloquio e la chiacchiera. Basti solo mettere davanti a sé uno dei quotidiani più diffusi: sono decine e decine di pagine. Chi mai può leggerle tutte ogni giorno? E perché mai lo si dovrebbe fare, sapendo che spesso sono interpretazioni di interpretazioni, parole su parole, opinioni contro opinioni e solo raramente si riesce a scovare una vera e solida analisi della realtà? Ma per stare anche a chi non scrive su giornali o su libri, quante parole pullulano per l'aria ogni giorno, creando solo nebbia, superficialità, vanità e vacuità. Ha ragione Montaigne: di gente che si preoccupa di dire (o scrivere) cose ponderate, sensate, motivate "c'è gran penuria".
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