giovedì 19 luglio 2007
La morfina", questo rozzo sostituto chimico dello stoicismo antico, della rassegnazione cristiana.
Non c'è giorno che il tema della droga non s'affacci sulle pagine dei giornali; non c'è famiglia che non viva con ansia il sabato notte con un figlio in discoteca o altrove, forse con in bocca uno spinello; non c'è analisi sociologica che non registri il diffondersi drammatico della cocaina, divenuta quasi il ben misero status symbol di una società vana e vacua. Sarà un po' sbrigativa e forse anche un po' irriverente, ma la frase che ho ripescato oggi da quel famoso romanzo che è stato Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa (1958) merita qualche considerazione.
Le asperità nella strada della vita si sono sempre presentate nella storia dell'umanità. Ma in passato la persona aveva dentro di sé, proprio per l'educazione civile e religiosa ricevuta, una sorta di attrezzatura che la invitava a procedere con fermezza e coraggio, nonostante il rischio. Certo, anche allora c'erano gli sconfitti e i rinunciatari, ma avevano ragioni diverse da accampare rispetto ad oggi. Adesso, infatti, al primo ostacolo si è subito pronti a tornare indietro oppure ad accasciarsi a terra. Il drogato che vediamo seduto ai bordi del flusso della vita è proprio l'emblema di molti che non hanno in sé nessuna carica - ma sì, anche di «stoicismo» o di «rassegnazione» - per reagire e affrontare prove, difficoltà, inciampi che si frappongono nell'esistenza, della quale sono il sale e spesso la sostanza, Dobbiamo, allora, ritrovare l'educazione a una virtù cardinale che ha un nome preciso, fortezza, e che è tenacia e carica interiore.
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