giovedì 14 dicembre 2017

Per un motivo o per l'altro, ogni anno, vicino a Natale, i luoghi dell'Incarnazione del Verbo vivono la tragedia. Stavo guardando il sito della Farnesina, a causa di un pellegrinaggio in Terra Santa organizzato in parrocchia, quando mi sono imbattuta in un'opera di William Blake a me sconosciuta: Il Cristo Bambino dormiente sulla croce.
L'iconografia, avviatasi nel XVI secolo, appartiene al genere di opere devozionali destinate ai conventi. San Paolo della Croce, ad esempio, aveva carissimo un dipinto raffigurante appunto Gesù dormiente sulla croce. Se ognuno di noi è nato per morire, Cristo ancora di più. Quel duro giaciglio sopra il quale riposa il divino Infante è premonitore del compimento che egli è venuto a portare e che avrebbe avuto, senz'ombra di dubbio, un destino di croce.
L'opera di Blake si stacca dal clima sentimentale di certi altri Gesù dormienti in croce, come quello famoso di Guido Reni e, con il suo stile inconfondibile, carica il dipinto di una drammaticità tutta moderna. La donna in piedi, china e dolente, prima d'esser Maria è la Madre Chiesa la quale, benché consapevole del Sacrificio del Cristo, lo mira come se fosse nuovo. Non è in preda allo strazio della sorpresa, ma è compresa da una necessità assurda e in qualche modo prevista. Mi commuove questa figura. Anche noi, benché abituati alle cronache più nere, veder violato ogni anno l'anelito, cantato da una secolare letteratura, a quel Natale di pace dove si sospendono guerre e interessi parziali, fa male. Si resta impietriti da un déjà-vu che non si vorrebbe sperimentare.
Un'impalcatura divide il piccolo Gesù dal panorama retrostante: assi e travi che paiono il progetto iniziale di una casa; attorno attrezzi da falegname e un compasso, ben evidente, accanto alla sommità della croce. La studiata noncuranza con cui Blake dipinge tutto questo rafforza il valore simbolico degli elementi.


William Blake, Il Cristo Bambino dormiente sulla croce. 1799-1800, tempera su tela, 27,0x38,7 cm. Victoria Albert Museum. Londra


L'uomo edifica case che non riparano, frappone fra sé e la promessa divina della Pace sovrastrutture soffocanti che generano conflitti. Come non pensare alla Terra Santa? A Gerusalemme e all'enclave di Betlemme, simbolo di un'epoca (la nostra) che, vantandosi di voler abbattere i muri e mitizzando la parola dialogo, vede invece sorgere di continuo palizzate, incomprensioni e ambiguità di linguaggio? Sì, quelle strutture di legno sono le nostre croci, ce le fabbrichiamo di continuo e, non di rado, vi inchiodiamo gli Innocenti, come il Bambino Gesù. Per questo il Natale, nell'aura di pace cui rimanda, disturba! Di fronte all'innocua letizia che questo Bambino genera, il mondo ostile alla fede trema; intuisce che dietro a quel Dormiente la posta in gioco è alta; quel Bambino è una roccia eterna e la sua croce è un grimaldello in mano a Dio contro gli arsenali di guerra, le super potenze economiche e la petulanza del pensiero laicista. La stoltezza della croce fa fuori anche i poteri massonici, significati nel compasso di Blake.
In fondo a perdita d'occhio un paesaggio mozzafiato: montagne azzurrine si perdono all'orizzonte e il sole abbraccia ogni cosa dicendo, come l'ultimo Montale: più in là. La pace è più in là, oltre le nostre barricate e i nostri giudizi pretenziosi.
Lascio il sito della Farnesina e i pronostici internettiani danzanti fra il più roseo futuro e l'apocalissi imminente e trovo pace nella figura femminile di Blake e nelle sue mani giunte in preghiera. Non abbiamo scampo, l'unica vera rivoluzione è la santità, l'unica risposta all'autolesionismo umano è convertirsi a Dio, di cuore.

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