sabato 22 ottobre 2005
La fortuna è di vetro: proprio quando brilla si rompe. L'invidia ha gli occhi e la fortuna è cieca. L'imponderabile si annida nelle pieghe di ogni vicenda umana; l'imprevedibile si para innanzi a noi proprio quando siamo certi di avere la strada spianata. Tutto questo noi lo chiamiamo fortuna o sfortuna: per molti è il risultato degli intrichi del caso; per i credenti è il segno di un progetto trascendente che non coincide sempre coi piani della nostra libertà. Trovo come segnalibro in un volume un cartoncino sul quale, non so quando, ho annotato i due aforismi che oggi propongo. Il primo è attribuito a Publilio Siro, uno schiavo orientale trasferito a Roma nel I secolo a.C., divenuto un acclamato improvvisatore di motti
e un attore di mimi. Questo suo detto sull'aleatorietà della fortuna è così limpido - come l'immagine sottesa - da non aver bisogno di commenti. Vale solo il monito di non lasciarsi accecare dal fulgore del successo, perché poco dopo puoi trovarti con gli occhi aperti sulla polvere in cui sei piombato. Il simbolo degli occhi regge anche il secondo asserto che, pur attingendo all'antico stereotipo della fortuna cieca, è di un autore recente: si tratta, infatti, di una frase del romanzo Gente in Aspromonte (1930) di Corrado Alvaro. Qui entra in scena un altro soggetto implacabile, l'invidia. Quando si ha successo, bisogna saper vedere che nella folla che ti applaude ci sono non pochi occhi ardenti di invidia. È per questo che nella vita bisogna conservare sempre una buona dose di sobrietà, di realismo e di umiltà se non si vuole accrescere l'invincibile e inevitabile crudezza della gelosia.
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