venerdì 26 agosto 2005
La maggior parte degli uomini vivono e muoiono tanto estranei al loro Io più profondo quanto a noi sono estranei quei paesi dei quali ci giungono vaghe notizie, ma che nessun viaggiatore ha ancora visitato. A studiare l'"Io profondo" si sono messi, soprattutto nel secolo scorso, psicologi e psicanalisti con esiti positivi, ma non sempre soddisfacenti, anzi, talora persino devianti. Prima di loro, però, dovrebbe essere ciascuno di noi a intraprendere il viaggio in quel pianeta oscuro ma non invalicabile che è il nostro intimo. Purtroppo da tempo - forse neppure nelle esperienze spirituali - non si dà più rilievo a quella pratica serale che una volta era consigliata con insistenza, l'esame di coscienza. Creare una sorta di piccola oasi e far scorrere eventi e azioni quotidiane vagliandone gli aspetti morali: era questo l'esercizio che permetteva di penetrare nell'orizzonte segreto del proprio Io e delle sue scelte. Oggi, con un'indubbia superficialità sempre più dominante, accade ciò che notava nella frase sopra citata William E. Channing (1780-1842), un teologo protestante americano, apostolo della libertà per gli schiavi del suo Paese. È vero, infatti, che ora si è pronti a visitare, anche a costo di ardimentose fatiche, le regioni più impervie per conoscere usi tribali remoti o paesaggi incontaminati; ma non ci si accorge di avere proprio dentro di sé zone del tutto inesplorate, quelle dell'interiorità, dell'anima, della coscienza. Diceva amaramente Axel Oxenstierna (1583-1654), cancelliere del re di Svezia: «La conversazione più importante e più trascurata è quella con se stessi».
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