mercoledì 3 ottobre 2007
Possiamo imparare a essere saggi in tre modi. Il primo è quello dell'imparare a riflettere, ed è il migliore. Il secondo è l'imitazione, ed è il più facile. Il terzo è l'affidarsi all'esperienza, ed è il più doloroso.
In realtà questa trilogia proposta dal grande maestro cinese Confucio (VI-V sec. a.C.) non è necessariamente da ramificare in tre strade separate. Si può, infatti, riflettere scoprendo verità da soli, ma contemporaneamente seguire una guida o un modello per raggiungere una nuova meta di conoscenza e di saggezza. La terza via, quella dell'esperienza, è però il percorso che non si può evitare perché esso è intrecciato indissolubilmente con lo stesso vivere. Fermiamoci, allora, un momento proprio su quest'ultimo modo per conquistare la saggezza.
È un itinerario che scandisce l'intera esistenza e, nonostante sia (anche per questo fatto) obbligatorio, non è detto che produca effetti positivi. Anzi, spesso è vero ciò che afferma un altro motto cinese: «L'esperienza è un pettine offerto ai calvi», proprio perché non sembra avere risultati. È una sorta di dono utile che la vita ci presenta, ma che non serve a niente perché la superficialità o l'orgoglio fanno sì che la sua efficacia sia sminuita o annullata. Confucio giustamente osservava che quella dell'esperienza è una via dolorosa. Da un lato, infatti, la si costruisce soprattutto sui propri errori e quindi è il segnale di tanti momenti di lacerazione e di umiliazione. D'altro lato, l'esperienza è un frutto che matura troppo tardi, quando non può essere più gustato e crea allora malinconia. Ecco, allora, la necessità di essere coscienti, coraggiosi e costanti nella vita.
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