martedì 10 dicembre 2013
«In un giorno come gli altri» è un diario minimo, dei momenti su cui non ci soffermiamo. Cronaca di istanti che normalmente giudichiamo irrilevanti. Desiderio di fermarsi a ascoltare, nel rumore, per una volta anche se stessi.Milano, dicembre. L'altra sera si è alzato un vento freddo, e ora a raffiche urta rabbioso contro le finestre: come un nemico, che pretenda di entrare. Scostando una tenda guardo fuori: piove forte, vedo le gocce oblique nell'aura chiara di un lampione oscillante. Questa mattina mulinelli vorticosi di foglie secche si alzavano dal viale, e spinte dal vento correvano via insieme, rapite verso il nulla; in un fruscio incenerito di polvere. Ora l'acqua le incolla ai marciapiedi, fradice e sconfitte.Per strada, nessuno. Un solitario passante si arrabatta con l'ombrello che il vento gli rovescia. Costeggia i muri delle case, e più che camminare pare che scappi. Ce ne stiamo, noi che possiamo, al caldo in stanze tiepide e luminose; il gatto si è accoccolato fra i cuscini sul divano, e fa le fusa, piano. A un nuovo urto del vento però spalanca gli occhi verdi, vigile. Sente anche lui quell'estraneo ostile che si ostina a bussare; e che, respinto, geme, là fuori, come un'anima senza riposo.Stanotte oltre il vetro delle finestre si è presentato l'inverno, in persona: l'inverno che irrigidisce e corrompe,ciclica morte mandata a giustiziare gli ultimi lembi della bella stagione. E all'abbattersi del vento sulle case noi, dentro, ci stringiamo nei vestiti caldi, inconsciamente grati di avere una tana; da cui spiare al sicuro la folata di gelo che occupa la città, come un'orda di invasori.Pur non riuscendo, nemmeno fra le tiepide mura, a rassicurarci del tutto. Somiglia troppo, la marcia dell'inverno, al declinare nostro. Quando ero bambina ridevo del vorticare impazzito delle foglie nel vento: mi ci tuffavo dentro, come una foglia anch'io, inebriata. Certa com'ero delle mie guance fresche, che, credevo, sarebbero rimaste così per sempre; non come quelle foglie fragili e secche, simili a povere mani di vecchie.Ma ora che sono passati gli anni avverto invece in questa sera, nelle folate che cercano di forzare le finestre, un fiato ostile, e taccio. Per naturale inclinazione tenderei a immalinconirmi, come lasciandomi soggiogare dal buio e dal freddo.Esercitarsi a sperare, in una notte di dicembre, più forte dell'urto del vento. A tener ferma la memoria di ciò che ci è promesso: a trattenerla in sé, fedele e chiara, nel fondo della prima notte d'inverno.
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