sabato 3 dicembre 2005
Non dobbiamo reprimere la paura dietro un volto lieto. Non dobbiamo resistere alla paura con tutte le forze. Non dobbiamo ignorare l'esistenza della paura né dominarla con una volontà sempre ferma. La paura ci appartiene; non è nemico, bensì un ospite da accogliere con la convinzione che il padrone di casa è più forte di lui! Un ospite che può ritornare. Non è la prima volta che ci interessiamo alla paura, l'unica cosa
di cui abbiamo e dobbiamo avere veramente paura, come suggeriva nel '500 il grande moralista francese Montagne. Le note che oggi propongo le trovo riferite a un certo J. Zinck all'interno di un articolo che ho letto nei giorni scorsi. Proprio perché realtà umana, non dobbiamo esorcizzare la paura facendo finta che non esista o cercando di sopraffarla con la baldanza e l'arroganza. Anche perché, buttata fuori dalla porta, rientrerà dalla finestra. Bisogna, allora, imparare a convivere con la paura, sapendo che essa è simile a un ospite. Un ospite forse un po' sgradito ma che è possibile controllare, anzi, finalizzare a un compito. La paura, infatti, ci rende più umani e più umili. Ci fa più attenti al rischio e alla complessità della vita. Ci allena ad essere più coraggiosi e pazienti. Ci mostra che esiste il male con una forza da non sottovalutare. Possiamo, perciò, considerare la paura come un'educatrice. Certo, essa può diventare patologica: «Per chi ha paura, tutto fruscia», diceva già il tragico greco Sofocle. Essa non deve prendere il sopravvento come padrona di casa, ma la sua presenza non deve essere considerata necessariamente come una maledizione. Anzi, c'è il «timore del Signore» che per la Bibbia è una virtù.
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