venerdì 3 agosto 2007
Sono lontani dalla testa, conoscono il suolo, le spine, i serpenti, l'aspro e lo sdrucciolo, sono tutto l'equilibrio" Reggono l'intero peso, sanno correre sugli scogli", sanno saltare e non è colpa loro se più in alto dello scheletro non ci sono ali" Gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante. Sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati dietro un inginocchiatoio" Non sanno accusare e non impugnano armi e sono stati crocifissi.

Sono solo alcune battute
di un suggestivo «elogio dei piedi» che lo scrittore Erri De Luca ha lasciato in un testo minore che raccoglie un suo intervento. C'era già Isaia che cantava: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi» (52, 7). Gesù nell'ultima cena aveva lavato i piedi ai suoi amici e san Paolo ricordava che la testa non può dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi!» (1 Corinzi 12, 21). Sono, dunque, necessarie queste estremità spesso bistrattate ("ragionare coi piedi", si ironizza) e che invece sono un capolavoro di "tecnica", dato che riescono a sostenere un peso così notevole com'è quello del nostro corpo su una superficie così ridotta, per di più spesso in una situazione di movimento.
Con l'homo erectus l'umanità ha cominciato a dominare l'orizzonte, a perlustrarlo, a comprenderlo e ha iniziato a levare il capo verso
il cielo, cioè l'infinito. E questo è stato reso possibile dai piedi, realtà modesta che rivela la sua preziosità proprio quando si paralizza e ci blocca nella fissità. La lezione da trarre è facile. Noi non badiamo alle mille persone o cose quotidiane che ci permettono di vivere, pur rimanendo nascoste e quasi inavvertite. Un proverbio arabo, ad esempio, dice: «Che cosa c'è di più ovvio dell'aria? Eppure guai a non respirarla!».
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