venerdì 25 febbraio 2005
L'originalità è un trucco di cui si serve la gente priva di talento per far colpo su altra gente senza talento e per difendersi dalla gente di talento. Forse sarebbe più corretto parlare di "eccentricità" perché "originalità" è un vocabolo che ha in sé una carica positiva, dato che rimanda alla genuinità, all'autenticità, alla novità, alla singolarità. Ma trovo tradotta così, in un articolo che sto leggendo, una frase tratta dal romanzo sperimentale Le perizie pubblicato nel 1955 dallo scrittore americano William Gaddis. Certo è che questo autore voleva colpire le manipolazioni del reale di cui siamo artefici e vittime: i suoi personaggi erano, infatti, impostori, figure grottesche sostenute dall'inganno e dalla falsificazione, capaci però di far abboccare gli altri. Ebbene, se stiamo all'"originalità" delle mode e dei modi televisivi, al gusto della bizzarria, della stravaganza, dell'eccesso di cui si nutrono molti personaggi e i loro spettatori acquiescenti, dobbiamo dire che la frase di Gaddis è sacrosanta. Quell'eccentricità è solo un fuoco d'artificio della stupidità e non della genialità. Vestiti sconcertanti, comportamenti strambi, linguaggi orridi, eccessi esasperati sono solo spettacolo per allocchi. Perciò, vorremmo - senza celebrare il conformismo - lanciare un elogio dell'ordinarietà, della normalità, dell'usualità. La rincorsa frenetica alla novità
si risolve spesso in un'esistenza vana e vacua, ben più legata agli stereotipi dell'"originalità a tutti i costi" che non alla creatività vera che si alimenta di impegno severo, di costanza e di serietà. L'eccentricità ha come legge l'apparire, il talento autentico e "originale" l'essere.
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