martedì 17 marzo 2020
Cerco di immaginarmi le Rianimazioni in questi giorni. Medici e infermieri bardati come astronauti che corrono fra troppi, troppi malati, e sanno che possono soccombere anche loro, e anzi, oggi un collega manca. Come essere spediti al fronte, di colpo, nelle abitualmente quiete province di Bergamo o Cremona.
Mi chiedo dove sarebbe, oggi, Luca, cardiologo, direttore sanitario di un ospedale nell'Oltrepo pavese. Medico amato dai pazienti e dai suoi infermieri: al funerale in quanti erano arrivati, volti mai visti che, commossi, volevano salutarlo. Luca è morto proprio sei anni fa, il primo aprile, data che gli sarebbe piaciuta, giacché da vecchio goliarda amava ancora scherzare e giocare. Ma, dove sarebbe Luca, oggi?
Io sono certa che, benché in pensione, sarebbe nel suo ospedale. Anche col fiato che gli mancava, a causa dei due pacchetti di Marlboro al giorno, sarebbe accorso – un ufficiale richiamato alla battaglia. E so che, come molti altri medici oggi, non si sarebbe risparmiato, reggendo 12 o 14 ore ore di lavoro: caffè, caffè, e, in cortile, brevi pause per nervose boccate di nicotina.
Ma Luca, il mio fratello grande, è morto. Già ha percorso l'agonia di chi se ne va oggi. Ho negli occhi ancora l'affanno del suo petto smagrito che si alzava e abbassava – cercando l'aria, ostinato. Ed è quel tumulto del respiro, quella disperata lotta per il fiato, che io immagino nelle Rianimazioni degli ospedali, silenziosa guerra in queste notti di marzo.
Cerco di scacciare quel ricordo, che fa male. Ma non la dovrei invece abbracciare, questa cicatrice nella memoria? Quasi un voler essere, almeno col pensiero, con chi muore. Dove sarebbe oggi, il mio fratello grande? Mi pare di vederlo, alto, il camice bianco aperto e svolazzante, percorrere a lunghe rapide falcate i corridoi del suo ospedale.
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