martedì 8 marzo 2011
Èuna delle grandi difficoltà della vita indovinare ciò che una donna vuole.
Se c'è un genere che mi è estraneo, è il genere maschile. Lo trovo troppo determinato, tradizionalista, triste, fedele alle abitudini, perduto in automatismi, in credenze sulle quali non s'interroga mai.

La scrittrice inglese George Eliot (1819-1880), che aveva assunto questo pseudonimo maschile, annotava: «Certo che le donne sono stupide. Dio onnipotente le ha create per essere uguali agli uomini!». Ebbene, sulla scia di questa provocazione ironica ho voluto accostare due considerazioni antitetiche, eppure entrambe dotate di una loro verità. Da un lato, c'è la prima frase, desunta da quel romanzo originalissimo che è La coscienza di Zeno (1923) di Italo Svevo. Che la donna sia spesso capace di sorprendere e di spiazzare il suo interlocutore maschile è un'esperienza abbastanza frequente e non necessariamente negativa. Si pensi che in Cina c'è un villaggio, Pumei, ove le donne usano una lingua solo femminile, il nushu, incomprensibile ai maschi e tramandato dalle madri alle figlie.
D'altro lato, però, è anche fondata la seconda frase della scrittrice Alice Ceresa (1923-2001) che bolla la noiosa pedanteria maschile. Certo, anche questo aspetto può avere un risvolto positivo nella determinazione, nella fermezza, ma può irrigidirsi nell'automatismo, nell'abitudine, perdendo la freschezza della ricerca, della sorpresa, della domanda di senso. Tutto questo ci conduce alla specularità dei due sessi, entrambi limitati e criticabili, ma necessari per l'armonia e la vita dell'umanità. Stupidità e grandezza sono ugualmente ripartite perché siamo sempre in presenza di creature e non di divinità. Eppure, come insegna la Bibbia (Genesi 1, 27), l'immagine divina nella creatura umana è proprio nella dualità sessuale, nel suo profilo originale e creativo.
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