sabato 17 marzo 2018
Che tipo di cristiani siamo? Siamo di quelli che stanno «parcheggiati», o «ingabbiati» senza «volare con il sogno»? Oppure di quelli che «camminano», di quelli che «non si saziano» e continuano sempre a cercare il volto di Dio? La domanda non è da poco, e quando l'ha posta, nell'omelia della Messa di martedì scorso nella cappella della casa Santa Marta, papa Francesco ci ha in qualche modo invitato a mettere a fuoco quale sia, o quale debba essere, l'atteggiamento esistenziale del credente. Ma, questo, non mettendo in alternativa due situazioni opposte: perché anche i “parcheggiati” sono alla fine buoni cristiani, così come quelli che non si fermano. Il fatto vero, piuttosto, è capire fino a che punto siamo disposti a spingerci nel cercare Dio. Quanto siamo disposti a rischiare. O, per dirla in altre parole, quanto siamo disposti a fidarci di lui.
«Chi mette Dio al centro del proprio impegno – ha detto una volta Giovanni Paolo II – può ricevere una scintilla della luce che illumina le vie del Signore e rivelare così qualcosa del piano di Dio». Per questo, tuttavia, bisogna appunto fidarsi di lui. Ma fidarsi per davvero. Commentando martedì scorso il Vangelo del giorno, papa Bergoglio leggeva del rimprovero rivolto da Gesù al funzionario del re che gli chiede di guarire il figlio malato: «Se non vedete segni e prodigi voi non credete», quasi che il miracolo sia l'unica cosa che alla fine conti sul serio. Però, se così stanno le cose, dove sta la fede? «Vedere un miracolo – ha spiegato Francesco – un prodigio e dire: “Ma, Tu hai la potenza, Tu sei Dio!”, sì, è un atto di fede, ma piccolino così. Perché è evidente che quest'uomo ha un potere forte; ma lì incomincia la fede, ma poi deve andare avanti». La domanda, allora, è piuttosto: «Dove è il tuo desiderio di Dio? Perché la fede è questo: avere il desiderio di trovare Dio, di incontrarlo, di essere con Lui, di essere felice con Lui».
Dio, di converso, da parte sua attira e alimenta il desiderio di ciascuno alla gioia di essere con lui: «Quando il Signore passa nella nostra vita e fa un miracolo in ognuno di noi, e ognuno di noi sa cosa ha fatto il Signore nella sua vita, lì non finisce tutto: questo è l'invito ad andare avanti, a continuare a camminare, “cercare il volto di Dio”, dice il Salmo; cercare questa gioia!».
Logica, allora, la domanda posta da Francesco su che cosa Gesù possa pensare dei cristiani che si fermano alla prima grazia ricevuta, che non proseguono il cammino e si comportano come uno che, al ristorante, si sazia con l'antipasto e torna a casa non sapendo che il meglio arriva dopo: «Perché ci sono tanti cristiani fermi, che non camminano; cristiani insabbiati nelle cose di ogni giorno – buoni, buoni! – ma non crescono, rimangono piccoli. Cristiani parcheggiati: si parcheggiano. Cristiani ingabbiati che non sanno volare con il sogno a questa cosa bella alla quale il Signore ci chiama».
Sono tutti gli elementi necessari per un esame di coscienza che tutti quanti dovremmo ogni giorno fare. Impegnativo, probabilmente, ma ineludibile. «Com'è il mio desiderio? Cerco il Signore così? Oppure ho paura, sono mediocre? Qual è la misura del mio desiderio? L'antipasto o tutto il banchetto?».
Nessuno dovrebbe, in realtà, sentirsi mai sazio. Piuttosto dovrebbe custodire il proprio desiderio, “coccolarlo”, «non sistemarsi troppo, andare un po' avanti, rischiare». Perché il «vero cristiano rischia, esce dalla sicurezza». Anche a costo, talvolta, di sbagliare.
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