giovedì 12 luglio 2007
L'etica, la politica e il diritto si possono bensì distinguere ma non disgiungere. Non esiste un'etica pratica, se non mediante le buone leggi e le buone amministrazioni.
Il titolo del saggio che ho in mano in un'edizione ottocentesca è emblematico: L'associazione dell'etica, della politica e del diritto. Autore è quel filosofo e giurista di stampo illuministico che fu Gian Domenico Romagnosi (1761-1835), un alto esponente della cultura borghese e liberale di allora. Il tema che egli evoca nelle battute che ho citato è incandescente ai nostri giorni ed è delicatissimo nella sua declinazione operativa e concreta. Si tratta del rapporto tra etica e politica, un nesso che il pensatore definisce con due verbi significativi «distinguere ma non disgiungere». Per certi versi ritorna il celebre motto evangelico del «dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio».
Da un lato, infatti, la moneta - come ricorda Gesù - reca l'immagine di Cesare: esiste, dunque, un'autonomia nella politica, in alcune sue scelte e percorsi, così da impedire ogni forma di teocrazia per cui trono e altare si fondono e confondono. D'altro, lato, però, l'uomo che è il termine capitale di riferimento della politica è «immagine di Dio»: ci sono, quindi, valori che superano la mera gestione sociale e che sono indisponibili perché trascendenti. È qui che scatta l'etica con le sue norme che tutelano la dignità della persona, la giustizia, la vita, la libertà. Il cristiano entra, perciò, nella società e vive queste due dimensioni che sono da distinguere ma non da disgiungere, creando tensioni o alternative. Certo, si tratta di un incontro delicato, da vivere senza prevaricazioni ma anche senza cedimenti.
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