sabato 17 aprile 2021
Tra le Letture di domenica scorsa, prima dopo Pasqua e che secondo quanto voluto da Giovanni Paolo II è la Domenica della Misericordia, c'era quel brano degli Atti degli Apostoli in cui si legge che «nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune». Una cosa ha detto Francesco commentando il passo nell'omelia della Messa celebrata per l'occasione nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, «tanto più sorprendente se pensiamo che quegli stessi discepoli poco prima avevano litigato su premi e onori, su chi fosse il più grande tra di loro. Ora condividono tutto». Come è potuto avvenire questo cambiamento radicale? «Hanno visto nell'altro la stessa misericordia che ha trasformato la loro vita. Hanno scoperto di avere in comune la missione, il perdono e il Corpo di Gesù: condividere i beni terreni è sembrato conseguenza naturale. Il testo dice poi che "nessuno tra loro era bisognoso". I loro timori si erano dissolti toccando le piaghe del Signore, adesso non hanno paura di curare le piaghe dei bisognosi. Perché lì vedono Gesù. Perché lì c'è Gesù». E dunque condividere la proprietà «non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro».
Col suo stile abituale, senza cioè troppi giri di parole, Papa Francesco è tornato con queste parole su una delle questioni più delicate della Dottrina sociale della Chiesa, quella di come considerare la proprietà privata nel quadro generale della destinazione universale dei beni della terra. Una questione che fa ciclicamente venire molti "mal di pancia", col conseguente corredo di accuse, appunto, di "comunismo" alla Chiesa, e in particolare a Bergoglio. In realtà si tratta di un'accusa totalmente infondata, e per capirlo basterebbe andare a leggersi quanto c'è scritto nel Catechismo della Chiesa cattolica, dove, circa «La destinazione universale e la proprietà privata dei beni», si legge che «Il diritto alla proprietà privata, acquisita o ricevuta in giusto modo, non elimina l'originaria donazione della terra all'insieme dell'umanità. La destinazione universale dei beni rimane primaria, anche se la promozione del bene comune esige il rispetto della proprietà privata, del diritto ad essa e del suo esercizio... La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della provvidenza; deve perciò farlo fruttificare e spartirne i frutti con gli altri, e, in primo luogo, con i propri congiunti...». Il capitolo del Catechismo in questione prosegue ancora a lungo, ma noi fermiamoci qua. Perché è chiaro, come lo stesso Francesco ha detto alla fine dello scorso ottobre rivolgendosi ai membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America, che la giustizia sociale va costruita «sulla base del fatto che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto, intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha sottolineato sempre la funzione sociale di qualsiasi sua forma». Ma soprattutto, proprio come Bergoglio ha spiegato domenica scorsa, la condivisione dei beni non è un'imposizione, per il cristiano, ma una libera scelta. Nessuno ti obbliga a condividere, sei tu che, avendo sperimentato la misericordia del Signore, sei a tua volta capace di essere misericordioso. «La pace di Gesù libera dalle chiusure che paralizzano, spezza le catene che tengono prigioniero il cuore. E i discepoli si sentono "misericordiati": sentono che Dio non li condanna, non li umilia, ma crede in loro. Sì, crede in noi più di quanto noi crediamo in noi stessi. Ci ama più di quanto noi amiamo noi stessi». E per questo non si può restare «indifferenti. Non viviamo una fede a metà, che riceve ma non dà, che accoglie il dono ma non si fa dono. Siamo stati "misericordiati", diventiamo misericordiosi». Cristianesimo allo stato puro.
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