
Il rapporto fra gli eroi dello sport e il loro pubblico nasce nella notte dei tempi. «Pitagora disse che la vita umana gli sembrava varia come il mercato che si teneva a Olimpia in occasione del più grande spettacolo di tutta la Grecia; qui alcuni, dopo lunga esercitazione fisica, cercavano la gloria e la nobiltà dell’incoronazione, altri vi venivano per vendere e comprare, indotti dal desiderio di guadagno, e c’era gente che, sommamente nobile, non cercava né gloria né guadagno, ma veniva per vedere e osservare che cosa vi si faceva e come». È Cicerone a descrivere così l’evento sportivo per eccellenza come epicentro di un’energia travolgente. A Olimpia, che in origine era un sito religioso, le condizioni a cui il pubblico era sottoposto erano tutt’altro che confortevoli. C’era un solo albergo, destinato alle personalità, la gente comune doveva dormire all’aperto, per terra, o sotto i porticati. Il caldo spesso era soffocante, l’acqua scarsa, mosche, zanzare e altri insetti tormentavano gli spettatori che facevano appositi sacrifici a Zeus perché li liberasse da quel supplizio. Nonostante ciò, la passione per i Giochi era così grande che ogni quattro anni accorrevano più di cinquantamila persone. La stessa tregua olimpica era un lasciapassare: permetteva ai (pochi) atleti e ai (tantissimi) spettatori di poter raggiungere Olimpia in sicurezza e incolumi. Insomma, è proprio in quel mondo antico dove è nato lo sport che nasce anche il rapporto indissolubile (fatto di gioie e di dolori) che lega gli sportivi ai loro tifosi. E nasce anche quel rapporto di identificazione, di amore e inevitabilmente anche di odio fra un tifoso e il suo atleta/eroe. Perché, esattamente come succede con i grandi personaggi dell’epica, ogni tifoso identifica il profilo di un eroe sportivo in cui si può riconoscere: c’è chi preferisce l’iracondo e (quasi) invincibile Achille, chi il perdente di successo Ettore, chi l’astuto Ulisse, chi l’antieroe Tersìte, ma tendenzialmente nessuno sta con Antenore, il traditore che consegna ad Achille il Palladio, talismano della invincibilità troiana, avendo in cambio salva la vita per sé e la propria famiglia. Una volta che il tifoso decide difenderà la sua scelta in maniera aprioristica e irrazionale, fino al tradimento. Viviamo in un mondo in cui si può dire tutto e il suo contrario e dove l’opinione della settimana precedente può essere smentita quella successiva, ma la tua squadra del cuore, o la scelta fra Coppi e Bartali, Muhammad Alì e Foreman, Maradona e Pelè, Larry Bird e Magic Johnson, Federer e Nadal, Messi e Cristiano Ronaldo, non la cambierai mai, a meno che non sia l’eroe a voltare le spalle al suo popolo, volendosene andare. Ecco, quello è il momento in cui la gente non perdona più, l’eroe si gioca il suo valore e, con esso, la sua timè, parola greca che indica la pubblica stima di una persona, il suo onore. Fra Antenore e Kvaratskhelia, sono passati 2.800 anni, ma non è cambiato nulla. Sotto le mura di Troia o dentro allo Stadio “Diego Armando Maradona” certi archetipi sono inscalfibili.
In fondo, come dice Percy Shelley, «siamo tutti greci».
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: