giovedì 21 luglio 2011
Il culto senza morale produce ipocriti e superstiziosi. La morale senza culto produce filosofi e saggi mondani. Per essere cristiani bisogna unire insieme le due cose.

Il cuore della predicazione profetica stava tutto qui: il culto senza la morale è vano, la preghiera senza una vita coerente e giusta è ipocrisia. Lapidario Isaia: «Non posso sopportare delitto e solennità» (1,13). Radicale Osea, citato anche da Gesù: «Voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (6,6). A questo impegno di base dell'autentica religiosità ci conduce anche una donna del Seicento francese che abbiamo già avuto occasione di far idealmente parlare in questa nostra rubrica quotidiana, Madame de la Sablière, amica del filosofo Pascal e, come lui, legata alla spiritualità del convento di Port-Royal, ove si ritirerà una volta rimasta vedova. Essa, però, propone alla nostra considerazione anche il rovescio della medaglia, non esaminato esplicitamente dai profeti.
Se ci può essere un culto senza morale, può anche esistere una morale senza culto. Intendiamoci: essa ha un suo valore perché risponde alla legge naturale e permette un'etica razionale, sulla scia del celebre detto di Kant sul cielo stellato sopra di noi e la legge morale dentro di noi. Ma giustamente Madame de la Sablière ci ricorda che possiamo in questo modo avere un filosofo o un saggio, ma non abbiamo ancora un cristiano. Egli è colui che, nella linea dei profeti, prega e opera. È interessante vedere come i Vangeli incrocino ininterrottamente, per così dire, le labbra e le mani di Cristo: egli annunzia il Regno e prega, ma anche cammina tra i poveri, i malati e i peccatori e li cura e redime. Fede e amore procedono insieme e creano il fedele vero e genuino.
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