mercoledì 29 giugno 2011
L'arca di Noè aveva in sé il corvo e la colomba. Se l'arca prefigura la Chiesa, è inevitabile che – nel diluvio del male del mondo – la Chiesa contenga ambedue questi generi: i corvi che cercano il proprio interesse e le colombe che cercano la gloria di Cristo.

È spesso citato il monito che l'allora cardinale Ratzinger scrisse nella Via crucis al Colosseo del 2005 sul "marciume" che s'annida pure nella Chiesa. Nella stessa linea, celebrando oggi la solennità degli apostoli Pietro e Paolo, abbiamo voluto far risuonare la voce di un santo caro a Benedetto XVI, Agostino, anche lui vescovo e dottore della Chiesa. Dal suo commento al Vangelo di Giovanni abbiamo tratto la suggestiva (e tradizionale) metafora dell'arca di Noè. Essa, però, riceve una punta di sottigliezza e allusività nell'applicazione del grande Padre della Chiesa. Mentre fuori imperversa il diluvio che si stende come un manto di morte sulla «malvagità grande della terra» e su «ogni intimo intento del cuore umano dedito solo al male» (Genesi 6,5), anche nell'area serena della nave di Noè è presente l'eterno scontro tra bene e male.
Il simbolismo animale del corvo e della colomba è ovviamente convenzionale, perché non sembra che i piccioni siano così pacifici e innocenti come li abbiamo classificati noi umani. Sta di fatto che il significato sotteso non può essere smentito: anche nella Chiesa si ramifica il peccato e ne siamo stati spesso testimoni e forse anche un po' attori, perché tutti noi portiamo il nostro granello «di lievito di malizia», per usare un'espressione paolina. Diceva Giovanni Paolo II che aveva già proposto alla Chiesa un esame di coscienza e una domanda di perdono a Dio: «La Chiesa è certamente santa, come professiamo nel Credo; essa però è anche peccatrice, non come corpo di Cristo, bensì come comunità fatta di uomini peccatori».
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