Con Martini la parola diventa scuola del convivere
venerdì 4 novembre 2022
Esiste un pregiudizio, in parte comprensibile, in parte assurdo, secondo cui parlare e parlarsi, conversare e discutere, esaminare le idee e magari il linguaggio stesso a voce, sia una perdita di tempo, un ozioso compiacimento del “fare chiacchiere”: la cosa importante e seria sarebbe invece “il fare”, l’agire. Pensi ognuno quello che preferisce pensare e credere, o quello che sa fare meglio. Ma certo il fare senza pensare e senza parlare con gli altri per capire le cose e per capirsi, può essere un vero guaio che rende miope o cieca l’azione. Il nostro mondo attuale, è vero, incoraggia e accelera ogni tipo di eccessi: eccesso di lavoro ed eccesso di divertimento, eccesso di parole ed eccesso di azioni, eccesso produttivo ed eccesso di sprechi, passività e agitazione, dispersione mentale e idee fisse. Ogni eccesso finisce per vanificare e svalorizzare, ha un effetto distruttivo di ciò che tocca. Ma forse va cambiata la nostra ottica: l’azione è certo un modo di comunicare, ma anche comunicare è un agire. Se poi si vuole essere più realistici, il pensare, il parlare e l’agire non possono essere né separati né contrapposti: così come una politica senza cultura si svuota di senso, si abbrutisce, si degrada. Il filosofo, l’artista e lo scienziato non sono degli inutili oziosi; ma anche il lavoro manuale, il viaggiare e l’incontrare gli altri produce conoscenza: purché ci si rifletta, naturalmente. Si agisce e si vive attuando i propri pensieri, consapevoli o meno, realizzandoli a volte, altre volte dimenticandoli e fuggendone il peso. Devo queste semplici considerazioni a un articolo di Mario Delpini in apertura del numero 4/2022 di “Vita e Pensiero”, intitolato Così il cardinal Martini vedeva il mondo contemporaneo, anticipato da “Avvenire” lo scorso 23 agosto e raccolto nel volume Carlo Maria Martini. il vescovo e la città (Vita e Pensiero, pagine 160, euro 15,00). Delpini si chiede «quali fattori abbiano contribuito a rendere incisiva l’attività pastorale del cardinale». La risposta naturalmente è nella “qualità della persona”, nella sua capacità comunicativa e nell’attrattiva dei valori che propone. Ma più in particolare è nel valore che Martini dava alla Parola nel senso più ampio. Alla “parola parlata”, sia nella predicazione che nella conversazione, ai suoi molti interventi orali e alla convinzione che «parlando, nell’incontro in presenza, è possibile farsi capire». Chiamò infatti “scuola della Parola” la sua proposta di formazione per i giovani. Conversazione e dialogo, soprattutto con attenzione prioritaria “alla singola persona” e alle sue domande. Le istituzioni e la tradizione da sole non parlano. © riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: