mercoledì 27 febbraio 2013
Betlemme, 2005 - Il Muro compare all'improvviso, incombente nei suoi nove metri di altezza. Il check-point sembra un fortino, con le porte a saracinesca e le torrette e i cavalli di frisia. I soldati israeliani sono giovanissimi, le armi in pugno. Uno controlla il telaio dell'auto, un altro apre i bagagli. Mio figlio Bernardo, dieci anni, con me in viaggio in Terrasanta, fissa i fucili, a poche decine di centimetri, con un profondo stupore. È la prima volta che vede degli uomini con le armi in pugno, davanti a lui, così vicini. Gli leggo lo sbalordimento in faccia.Nella Basilica mi tira per la mano, impaziente. Giù per le scale, verso la Grotta. Fino alla nicchia dove una stella a 14 punte segna l'alfa, l'inizio, l'epicentro dove andarono convergendo i pastori, quella notte. E un bambino, duemila anni dopo, istintivamente fa ciò che forse fecero quegli uomini. Prima, guarda. Poi allunga la mano, a toccare. Gli uomini, hanno bisogno di toccare. Chissà quante mani, quella notte, si allungarono incerte, esitanti, verso un Dio bambino.Quando, tre giorni dopo, torniamo in Italia, la valigia del figlio è terribilmente pesante. Ma cosa ci hai messo dentro? domando. Sassi, scopro: manciate di sassi del lago di Tiberiade. Mio figlio: «Sai, magari ci ha camminato sopra Lui».
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