martedì 17 settembre 2013
Quando ero giovane, mio padre mi insegnava a togliere gli aggettivi da quello che scrivevo. Non tutti, certo, ma la maggior parte. Mia madre non me lo insegnò, ma lei gli aggettivi proprio non li metteva, essenziale com'era. Facevo fatica, perché ero attaccata ai miei aggettivi, ma almeno in parte imparai a farlo. Che vuol dire anche rinunciare senza troppe esitazioni a ciò che scrivi e quindi a ciò che hai. Man mano che invecchio, trovo più facile ridurre le cose intorno a me, separarmene. Come nello scrivere, molte cose non sono essenziali. Molti oggetti, che mi sembravano portare con sé tracce irrinunciabili del passato, mi appaiono ora solo oggetti. Mi piacerebbe poter distinguere davvero tra ciò che conta e ciò che non conta, viaggiare leggera. Eppure, sono circondata di cose, di vestiti, perfino di libri che pesano e mi impediscono la libertà. Ma quando si tratta dei libri, separarsene è più difficile. Là le tracce sono profonde, non esteriori. Ricordi non solo il libro, ma anche il momento in cui lo hai letto e come ti sentivi leggendolo. Ma invece di prenderlo in mano, puoi sempre regalarlo e tenerne memoria entro la mente. È bello però pensare che tutto comincia con gli aggettivi.
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