domenica 26 novembre 2006
Dovunque io vada tu sei il mio compagno che mi tiene per mano e mi guida. Al mio fianco tu porti il mio fardello. Durante il cammino, se divago errando, tu mi riporti sul giusto sentiero, spezzi le mie resistenze e mi spingi avanti. Ora la tua gioia mi penetra
e mi avvolge e io sono come un bimbo che gioca in una festa. Le nostre sono soprattutto riflessioni, ma talora abbiamo incastonato in questo spazio privilegiato che il giornale ci offre alcune preghiere. Lo facciamo anche oggi, rivolgendoci idealmente a Cristo re e pastore celebrato dalla liturgia. Ma lo facciamo lungo un percorso un po' obliquo. Infatti le invocazioni sopra citate, che tanto assomigliano al celebre canto biblico del pastore divino, ossia al Salmo 23/22, sono un abhang, in pratica un salmo hindù composto da Tukaram, un poeta mistico indiano, morto nel 1649. Era figlio di un bottegaio e aveva alle spalle una vita colma di gravi sventure. Eppure la fiducia che sprizza da questi versi è solare. C'è, infatti, la sicurezza di non essere soli nel cammino della vita, anche quando si ha la tentazione di «divagare errando», ossia di imboccare la strada del male o della disperazione, abbandonando il «giusto sentiero». Anche in quel momento Dio ci è accanto e cerca di spezzare la nostra ostinazione. E l'approdo è dolce e gioioso: siamo portati da quella guida sicura come in una piazza di paese ove si sta celebrando una festa e noi ridiventiamo semplici e innocenti come bambini che giocano. Concludeva Tukaram: «Senza Dio non c'è gioia. Tu sei il mio tutto, il mio unico. Nella mia anima non c'è più angoscia».
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