venerdì 23 maggio 2003
Chiuso il secolo dell'ateismo, si apre in Occidente quello del cinismo: un avversario forse meno provocatorio ma più subdolo. In un articolo che sto leggendo in una rivista ecclesiale m'imbatto in questa citazione: è una frase del card. Camillo Ruini, presidente della nostra Conferenza episcopale. Può sembrare a prima vista una considerazione pessimistica e amara; in realtà a me sembra non solo realistica ma anche folgorante nel saper centrare un vizio capitale della società contemporanea. M'è sempre rimasto in mente un detto del famoso scrittore inglese Robert L. Stevenson - sì, quello dell'Isola del tesoro e il creatore del dr. Jekyll e di mr. Hyde -- che affermava: «Odio il cinismo più del diavolo, a meno che siano la stessa cosa». L'ateismo conclamato è certamente meno pericoloso, anche perché mette in guardia il cristiano in modo quasi automatico; il cinismo, invece, è più "diabolico" perché s'ammanta di buonsenso, concretezza, praticità, pragmatismo e lentamente strangola i valori, la moralità, la coscienza, chiudendoci nel mero interesse, nel materialismo, nell'egoismo, spegnendo lo Spirito che è in noi. È diventata celebre la battuta di una commedia (Il ventaglio di Lady Windermere) di un altro scrittore inglese, Oscar Wilde: «Che cosa è un cinico? Uno che sa il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna». I sentimenti, le realtà spirituali, le virtù morali sono sprezzate dal cinico perché egli è pronto a comperare tutto o a finalizzare tutto a sé e ai suoi progetti, calpestando anche il prossimo e i valori quando questo sia necessario. Stiamo, perciò, in guardia perché una punta di cinismo può sempre infiltrarsi in noi e la sua crescita è subito potente.
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