giovedì 13 ottobre 2016
Da bambina ero certa che le cose avessero un'anima, e ci guardassero, anche se non potevano parlare. Naturalmente crescendo ho imparato che le cose sono pura materia, e non hanno alcuna anima. Eppure ancora ogni tanto scivolo via dalla razionalità, e guardo un orologio a pendolo appeso a un muro come se fosse il genio della casa che lo ospita, e nel suo monotono oscillare sapesse tutto ciò che è stato, e forse anche un poco di ciò che sarà.C'era, quel certo orologio a pendolo, già nella mia casa la notte in cui sono nata, e segnava le tre e trenta. C'era quando dal basso della mia statura a cinque anni lo guardavo, desiderando di aprirne la cassa, e di toccare con le dita i suoi ingranaggi dorati. Che un semplice oggetto potesse misurare il tempo, questa cosa inafferrabile e misteriosa, mi pareva incredibile. Doveva esserci qualcosa d'altro nel suo meccanismo, un segreto che io non sapevo trovare. Ogni tanto mia madre caricava l'orologio, aprendo uno sportello e girando con forza una rotellina – ne sento ancora lo scricchiolio di molla di metallo che si contrae. Tanto bastava all'orologio per contare i mesi e i giorni della nostra vita. Poi l'orologio ha segnato l'ora del lutto, e in una vertigine di dolore la casa si è colmata di vuoto. L'orologio continuava a battere, come un cuore obbediente; ma ora a volte si fermava, stanco, quasi anche lui sopraffatto. Veramente, continuavo a domandarmi, le cose non sanno, non vedono, sono solo materia?Davanti all'orologio, sulla parete opposta all'ingresso, c'era in casa un grande specchio antico, con la cornice dorata. Davanti a quello specchio siamo passati tutti, migliaia e migliaia di volte. Ricordo ancora perfettamente come verso i sette anni mi alzavo sulla punta dei piedi per arrivare a vedere almeno i miei occhi, e come poi, crescendo, ritrovai all'altezza dello specchio di casa la mia faccia pallida di adolescente. Anche di quello specchio, da piccola, sospettavo fortemente che avesse un'anima segreta; ma non ne parlavo con i grandi – che di certe cose, mi dicevo con rassegnazione, proprio non capiscono niente.La notte che mio padre morì d'improvviso in un ospedale, a casa non c'era nessuno. Quando rientrai al mattino, sbalordita mi bloccai a fissare il pavimento dell'ingresso: era pieno di vetri in minuscoli frantumi, mentre la cornice d'oro, intatta, era rimasta sul muro, appesa e vuota. Lo specchio sembrava, più che rotto, essere esploso in mille schegge, in quella notte. Accarezzai la cornice vuota e spazzai via con delicatezza i frammenti. Può il dolore spezzare uno specchio? Assurdo. Sentivo però in me, sommessa, la mia voce di bambina: «Lo vedi, che anche le cose sono vive?». Non dissi niente. Ero adulta ormai, e gli adulti non credono a certe sciocchezze. Le cose, ovvio, sono solo cose, opaca materia. Ridicolo, pensare che possano, in una notte, frantumarsi di dolore.
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