mercoledì 20 gennaio 2021
Un amico si è ammalato. È in terapia intensiva. È ancora giovane, e caro a tanti. La sera alle nove, su un canale You Tube, si recita per lui il Rosario. Sullo smartphone vedo che siamo in mille. Noi, qui a casa, siamo in tre.
La tv è spenta, i cellulari zittiti. La strada, nei giorni di zona rossa, silenziosa. «O Dio, vieni a salvarmi…», inizia da lontano un amico. Noi rispondiamo. Piano, avverto che nella cadenza lenta delle decine i pensieri della giornata si acquietano, si mettono in ordine, finalmente disciplinati. Vedo nelle facce dei miei la stesso lasciarsi andare, sottratto alla frenesia, al telefono, ai social. È un abbandonarsi, il Rosario, un cedere a una misteriosa pace. Mi immagino i rosari di cento anni fa nelle cucine delle cascine. Grandi famiglie assieme dopo la fatica della giornata, nidiate di bambini a stento trattenuti dalle madri, e i più piccoli ancora al seno. Era forse quel momento ciò che teneva insieme, nella durezza della vita, le famiglie? Dopo la mungitura all'alba, i calli dolenti sulle mani e le zolle gelate e le bestemmie per la fatica, quel momento, insieme. Cemento. Un filo, ma un filo di cemento era il Rosario della sera, che ci teneva assieme. Accade ancora però, su You Tube, fra noi mille dispersi chissà dove. Eppure legati. Non soli: come stretti da una madre che accoglie sempre, e lenisce i nostri dolori.
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