Caro Citati, il punto e virgola ti ha fatto perdere la trebisonda
sabato 12 aprile 2008
Pietro Citati, in prima pagina di "Repubblica", ha aperto una polemica sull'uso del punto e virgola ("Non uccidete l'eleganza del punto e virgola", 7 aprile). L'articolo inizia così: «L'assassinio del punto e virgola, (") è molto più grave dell'assassinio di padri, madri, figli, figlie, mariti, mogli, nonne, cognati di cui parlano con infinita voluttà in nostri giornali». Ho sempre apprezzato il Citati polemista (umorale, sincero, estremo) molto più del critico letterario (che parafrasa in prosa nirvanica i grandi capolavori, rendendoli pleonastici). Ma tutto ha un limite. Davvero l'oblio del punto e virgola «è molto più grave» di decine di omicidi? Citati odia la famiglia come i surrealisti? O vuole essere elegantemente sulfureo di odio gnostico per i tanti "esseri inferiori" a cui succede di essere assassinati? Non trovo facile ridere di questa ironia, se si tratta di ironia.
Etica e stile a parte, mi fermo sul punto e virgola. Citati stigmatizza la nuova prosa, buona per «menti povere», ed esalta l'articolazione e la varietà del periodo. Credo che pensi alla sublime prosa delle Operette morali, modello inimitabile. Ma fra i moderni? Neppure Karl Kraus usa molto il punto e virgola, nonostante il suo amore assoluto per la lingua. Quando il periodo ha bisogno di variare la lunghezza delle pause, allora sì. Ma si tratta di preferenze ritmiche, di sistema nervoso di chi scrive e anche di circostanze. La presente rubrica non deve superare le 2000 battute, di punti e virgola non c'è molto bisogno quando si economizza lo spazio. Noto però che il suddetto articolo di Citati compie diversi assassini del punto e virgola: lo sostituisce spesso con i due punti, usati piuttosto impropriamente nelle enumerazioni paratattiche. Credo che una piccola analisi della prosa di Citati, fatta di coordinate più che di subordinate, mostrerebbe facilmente che Citati sogna una complessità sintattica e lessicale che lui stesso evita.
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