sabato 26 ottobre 2002
L'uomo non può fare a meno della bellezza, e la nostra epoca finge di volerlo ignorare.
Essa non vede il bello perché s'irrigidisce per raggiungere l'assoluto e il dominio. Vuole trasformare il mondo prima di averlo esaurito nella sua varietà, ordinarlo prima di averlo capito. È questa una considerazione che affiora nel colloquio tra il cappellano del carcere e il condannato a
morte Meursault, protagonista dello Straniero, il famoso romanzo pubblicato da Albert Camus nel 1942. Che la bellezza nel suo senso più puro e più alto sia necessaria per la salvezza l'aveva già detto Dostoevskij. Lo scrittore francese, però, va oltre e mette in luce alcune strade perverse imboccate dall'uomo e destinate a distruggere l'armonia della creazione e, quindi, la bellezza.


C'è innanzitutto la volontà di dominio. Certo, la Genesi, descrivendo l'ingresso dell'umanità nel mondo, ne esalta la funzione di sovranità affidatale da Dio: «Soggiogate la terra e dominatela» (1, 28). Ma questa regalità delegata è esercitata dall'uomo in modo tirannico, dispotico ed egoistico. È così che la terra è devastata, umiliata e sfregiata. Ma Camus introduce un'altra via sulla quale s'avvia l'uomo, quella della trasformazione del creato prima di averne accolto le leggi, i ritmi, le ricchezze. Certo, egli è stato posto sulla terra «per coltivarla e custodirla» (Genesi 2, 15), ma spesso il suo è un intervento che scardina la natura: si pensi solo ai temi attuali della bioetica e dell'uso del nucleare. Infine, c'è la strada dell'ordine fittizio imposto alla natura senza averla capita nella sua intima realtà, senza averla amata e rispettata.
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