martedì 17 luglio 2007
Bisogna sempre tener presente questi due principi: primo, agire unicamente secondo ciò che ti suggerisce il bene dell'umanità; secondo, cambiar parere se trovi qualcuno capace di correggerti, rimuovendoti da una certa opinione. Questo nuovo parere, comunque, deve sempre avere una ragione, come la giustizia o l'interesse comune, ed esclusivamente tali devono essere i motivi che determinano la tua scelta, non il fatto che ti sia parsa più piacevole o tale da procurarti maggior gloria.
È uno dei Ricordi dell'imperatore Marco Aurelio (121-180), che ho offerto desumendolo dalla bella antologia di suoi testi raccolti nel volumetto La libertà interiore (Oscar Mondadori). Mi fermo sul secondo principio, «il cambiar parere», un impegno scarsamente praticato. Ci sono, infatti, due realtà che si assomigliano nel comportamento ma sono antitetiche nella loro qualità morale: da un lato, c'è la tenacia che è perseveranza nel bene e coerenza coi valori scelti, anche a costo di subire svantaggi; d'altro lato, c'è invece l'ostinazione che è la pervicacia in una scelta sbagliata, pur di non ferire il proprio orgoglio.
Sì, perché alla radice c'è sempre quel vizio capitale principe, la superbia, che riesce a renderti come un mulo (ammesso che questo animale meriti una simile qualifica che è ben più umana), incaponito fino all'ultimo nel tutelare la propria scelta, anche quando essa si rivela palesemente errata. Sapientis est mutare consilium, dicevano gli antichi latini. Tuttavia Marco Aurelio ci ammonisce che il «mutare consiglio» non è sapiente ma segno di viltà quando lo fai solo perché la nuova opzione è più comoda e vantaggiosa. Rimane, quindi, una lezione unica: l'etica dev'essere la lampada sempre accesa sulle nostre azioni così da svelarne la verità, nel bene e nel male, e così da smuovere la nostra coscienza e la volontà.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: