venerdì 23 giugno 2017
Non ricordo più in quale libro Georges Perec, il geniale scrittore francese di Le cose e La vita istruzioni per l'uso, scrisse che i sogni degli esseri umani degli anni 60 o 70 del Novecento non erano più gli stessi del tempo di Freud, altri i simboli le maschere le ossessioni, perché cambiando la società cambiano anche i sogni – le fantasie e le paure – dei suoi membri. Non so molto di psicanalisi e non conosco molti psicanalisti – da uno di loro, però, Elvio Fachinelli, credo di avere appreso tantissimo, per esempio in fatto di educazione e di bambini ma anche del modo in cui guardare ai nostri simili e i nostri tempi. E anche di come cambiavano i sogni dei suoi pazienti rispetto al famoso manuale freudiano; anche di questo con lui si discuteva, a partire dalla sua pratica professionale, e già allora, anni 60, egli insisteva che i nostri sogni non erano più quelli di una volta. Si avrebbe bisogno di un Freud di oggi per analizzarli e dirci cosa nascondono, e da qualche parte magari c'è, ma, come si è spesso detto, più che Marx e Freud, nella loro speranza o ossessione di poter guarire la società il primo e l'uomo il secondo, oggi sono più attuali di loro Darwin (la lotta per la vita) e Jung (l'inconscio collettivo). Leggendo i giornali, non passa giorno che non ci si trovi di fronte a tragedie collettive, sia sociali (guerre, stragi, attentati, gesti folli di persone impazzite, bombardamenti gratuiti e micidiali...) sia “naturali” (alluvioni, terremoti, siccità, foreste che vanno a fuoco, ghiacci che si sciolgono, smog che avvelena, cancro che si scatena...) sia infine “tecniche” (come l'incendio di un grattacielo londinese...), eccetera. Si finge di giorno che questo riguardi gli altri, anche quando ci sono molto vicini, e si tira a campare dimenticando. Ma la notte il nostro inconscio si risveglia e quella che è una realtà di tutti i giorni di cui ci rifiutiamo di prendere atto – e cioè che la morte è sempre in agguato, per noi e i nostri cari – tuttavia penetra nei nostri pensieri, e finisce per coinvolgere anche i più refrattari o i più stupidi. Come spiegare altrimenti il disastro di Torino, nella notte di una partita di calcio da vedere in piazza festanti, su grande schermo? È bastato un qualche botto casuale perché il terrore, la paura di un attentato e di una strage e quella di restarne vittime, travolgesse letteralmente una folla. Una folla che fingeva la spensieratezza di una sera d'estate ma che sapeva, uno per uno dei suoi componenti nel suo inconscio sedato di moderni lotofagi, che in un'epoca come questa può sempre accaderci il peggio, che è immaginabile ma anche facilmente trascurabile, negabile, perché “càpita sempre agli altri”. Quando torna a splendere il sole e ci è possibile rientrare nella “normalità”, si è pronti a dimenticare, a far finta di niente, e di nuovo a “tirare a campare” nell'illusione che esista soltanto “il giorno” e una razionalità che lo regge, la possibilità di una felicità singola o di gruppo che ci nasconde le bugie di un intero sistema socio-economico, politico-militare, culturale. Il giorno scaccia le paure e addormenta l'inconscio, ma la notte fa presto a tornare.
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